La Bardana minore, cultura e salute dalle piante selvatiche

La Bardana minore, cultura e salute dalle piante selvatiche

La bardana minore (Arctium minus) cresce nei luoghi erbosi incolti, negli ambienti ruderali, nei fossi, lungo i margini di sentieri e strade, dal livello del mare fino al piano montano. 

È una pianta erbacea, bienne, alta 50-150 cm, con fusti eretti, più o meno arrossati. La sua radice è carnosa, spugnosa, biancastra (esternamente di colore scuro) ed è capace di penetrare in profondità nel terreno. Le foglie basali sono grandi, ovali-cuoriformi (lunghe fino a 50 cm), a margine generalmente ondulato, con la lamina di colore verde scuro superiormente e bianco-ragnatelosa di sotto. I fiori, di colore rosso-porporino, sono riuniti in capolini muniti di squame con apice uncinato. Cresce nei terreni incolti, negli ambienti ruderali, nelle radure boschive, lungo i sentieri e le strade. Con i suoi frutti “attaccaticci” è come se volesse proclamare la sua presenza e stabilire una relazione obbligata, forzata, con gli altri gli esseri viventi. La sua “generosità” si manifesta sia a livello vegetativo, per lo sviluppo esuberante delle foglie, sia dal punto di vista officinale, per i suoi preziosi principi attivi, concentrati soprattutto nella radice, la quale può essere considerata una piccola “farmacia sotterranea”. 

Per sfruttare a pieno le sue virtù però è necessario utilizzarla fresca (con l’essicazione si disattivano numerosi principi attivi), raccolta possibilmente nel suo ambiente naturale, lontano da influenze antropiche. La sua radice, commestibile, è ricercata e apprezzata in numerosi Paesi del mondo, compreso il Giappone, dove è conosciuta con il nome di “gobo”. Simili per morfologia e impieghi sono la bardana maggiore (Arctium lappa L.) e la bardana selvatica (Arctium nemorosum Lej. et Court.): le differenze, dal punto di vista botanico, sono minime e si concentrano principalmente sulle dimensioni dei capolini e la conformazione delle squame dell’involucro fiorale.

Storia, miti e leggende

Il nome latino di questa pianta, arctium, sembra derivare dal greco arctos, nel significato di orso e trae ispirazione dal suo aspetto esteriore (particolarmente villoso); mentre il termine “lappa” o “lappola” deriva, probabilmente, dal latino lape, mucillagine (sostanza presente nella radice). Altri autori propongono una derivazione dal celtico lapp, nel significato di mano che afferra o dal greco lambanein, prendere: in entrambi i casi si fa riferimento ai sottili apici uncinate delle infruttescenze che hanno la capacità di attaccarsi caparbiamente ai vestiti e ai capelli. Questo fenomeno sembra essere la fonte ispiratrice del famoso “velcro” (chiusura a strappo), nato nella mente dell'ingegnere svizzero Gorge de Mestral, mentre cercava di togliere queste curiose “palline” rimaste tenacemente attaccate al pelo del suo cane dopo una passeggiata in campagna. Resta incerta anche l’etimologia della parola “bardana”: per alcuni autori, tale termine risale al Medioevo, probabilmente legato al francese barde e al portoghese barda, nel significato, rispettivamente di “fetta di lardo” e di “sella” (entrambi i casi sono da mettere in relazione con la particolare consistenza e forma delle foglie).

 

Continua a leggere

Articolo di Maurizio Di Massimo su Meer - Media platform

 

 

Lascia un commento