La fitoterapia ayurvedica: scienza della lunga vita

La fitoterapia ayurvedica: scienza della lunga vita

L’India custodisce un patrimonio prezioso di origini antichissime: la medicina Ayurvedica o “scienza della lunga vita”. È ritenuta la prima forma codificata di medicina, ma nel suo insieme è il risultato di una complessa integrazione tra mitologia, filosofia, spiritualità e medicina. Il suo raggio d’azione non si ferma all’uomo, ma secondo una visione olistica degna delle più moderne discipline alternative, abbraccia la natura nella sua interezza, dedicando particolare interesse anche alle patologie delle piante e degli animali. Ampio spazio è dedicato all’influenza dell’ambiente, ai consigli di carattere nutrizionale, morale e religioso, alle norme igieniche, alle tecniche di purificazione e ringiovanimento, alla  prevenzione delle malattie, ai trattamenti medici e soprattutto agli aspetti pratici di una raffinata farmacologia impiantata su rimedi di natura minerale, vegetale e animale. Vengono indicate, ad esempio, le proprietà curative di migliaia di piante officinali, secondo un sistema energetico che presenta sorprendenti affinità con la tradizione erboristica occidentale (le terminologie cambiano, ma i concetti di base sono comuni). Nonostante le sue lontane origini storiche e geografiche l’Ayurveda ci fornisce indicazioni terapeutiche valide anche per altri ambiti culturali. Le indicazioni relative alle piante trattate si basano sulla valutazione energetica dei Tridosha in riferimento all’antica classificazione degli elementi: Etere, Aria, Fuoco, Acqua, Terra (tale visione è parte integrante anche del patrimonio tradizionale dell’Occidente).Questi “protoelementi” creano una combinazione classica di:

  • etere + aria  = vata o vayu
  • fuoco + acqua = pitta
  • terra + acqua = kapha

Vata, Pitta e Kapha sono definiti Dosha e pervadono interamente la condizione psicofisica; un individuo è in buona salute quando queste componenti sono in equilibrio dinamico tra loro. I Dosha sono il cuore pulsante dell’Ayurveda, mediante i quali è possibile avere indicazioni preziose riguardanti una moltitudine di fattori come, ad esempio, i biotipi costituzionali (la prakruti,cioè la tipologia genetica), i ritmi cicardiani, ultradiani e quelli legati alle stagioni, le tendenze caratteriali ed emozionali, le preferenze alimentari, ecc. L’inquadramento delle piante in base alla teoria dei Dosha (vata, pitta, kapha) permette di individuarne le applicazioni terapeutiche (la somministrazione di un particolare vegetale determina una specifica variazione psicofisica ed energetica). Secondo l’Ayurveda la classificazione qualitativa di una pianta officinale passa anche attraverso la definizione del suo sapore, definito Rasa.L’equilibrio dei Dosha è influenzato da sei sapori principali: dolce, acido, salato, pungente, amaro e astringente.Anche questo sistema energetico basato sui sapori (presente anche nella medicina tradizionale cinese) è strettamente legato ai cinque elementi (da tale comparazione si ricavano importanti indicazioni terapeutiche):

  • il sapore dolce (elementi terra + acqua) innalza kapha, riduce e allevia pitta e vata
  • il sapore acido (elementi terra + fuoco) innalza o aggrava pitta e riduce kapha
  • il sapore salato (elementi acqua + fuoco) allevia vata, liquefa e riduce kapha; un abuso di questo sapore innalza o aggrava pitta
  • il sapore pungente (piccante) (elementi fuoco + aria) allevia e riduce kapha e innalza pitta e vata
  • il sapore amaro (elementi aria + etere) innalza vata riducendo pitta e kapha
  • il sapore astringente (elementi terra + aria) allevia e riduce kapha e pitta e innalza o aggrava vata.

Questa complessa valutazione è influenzata anche dall’apporto energetico di Virya, cioè il potere riscaldante o raffreddante di una pianta (la tradizione erboristica occidentale, in particolare quella medioevale e rinascimentale applica gli stessi principi). Nel primo caso predomina il Rasa (sapore) aspro, pungente e acido; nel secondo è preponderante il Rasa dolce, amaro e astringente. Viene considerato anche il sapore nella fase postdigestiva (definito Vipaka): questa classificazione collega l’effetto dei sapori (raggruppati in tre classi) alle fasi della digestione, assimilazione ed eliminazione:

  • fase della Digestione: nella bocca e nello stomaco = sapore dolce = kapha
  • fase dell’Assimilazione: in parte nello stomaco e nell’intestino tenue = sapore acido = pitta
  • fase dell’Eliminazione: nel colon = sapore pungente = vata

Il vipaka è da valutare attentamente in particolare modo nelle somministrazione prolungate di erbe officinali. Ma può esistere anche un’azione, una forza specifica che la pianta può possedere e che sfugge ad ogni classificazione sistematica, biochimica o energetica, conosciuta come Prabhava. La potenza specifica (Prabhava) di una pianta è data da caratteristiche eccezionali imputabili alla delicata combinazione di elementi e composti fitochimici, alla specificità organica e all’azione sottile di particolari forze “psico-spirituali”. Tali potenzialità (con effetto fisico o psichico) possono essere legate, ad esempio, a delicati equilibri sinergici tra alcuni principi attivi primari e secondari, sensibili alle modalità di raccolta, conservazione e preparazione della pianta (la proprietà terapeutica di una pianta è racchiusa nella sua totalità). Nel pensiero indiano il concetto di salute trova una sua giustificazione ideologica e pratica nell’equilibrio e nell’armonia di tutte queste componenti. Da tale visione prende forma l’idea di un organismo allargato, frutto dell’indissolubile legame tra uomo e Natura (l’essenza della tradizione alchemica occidentale racchiude i medesimi principi concettuali). Nella Chandoja Upanishad è scritto: "L’essenza di tutti gli esseri è la terra. L’essenza della terra è l’acqua. L’essenza dell’acqua sono le piante. L’essenza delle piante sono gli esseri umani".

 

A cura di Maurizio Di Massimo e Sandro Di Massimo
Tratto da Planta medica

Lascia un commento